THE FINAL FRONTIER, OVVERO DI COME MI GIOCAI DEFINITIVAMENTE IL CERVELLO
Premessa
A Roma ho un’amica alla quale voglio molto bene. Si chiama Francesca, ma noi la chiameremo Apple perché è così che io la chiamo di solito, soprattutto quando sono molto esasperata.
Non fidatevi delle mele, la prima volta che una mela è comparsa nella storia dell’uomo è successo un macello, avete presente?!
Apple ha un ruolo importante in quanto sto per andare a scrivere.
Di attori britannici e di reboot improbabili
A metà giugno di quest’anno è uscito Into darkness, il secondo film reboot della Serie Classica di Star Trek (sì, quello fatto da J.J. Abrams, sì, il creatore di Lost), un mondo rispetto al quale vivevo nella più totale e beata ignoranza, non fosse per qualche nozione acquisita di riflesso guardando The Big Bang Theory.
Into darkness lo andai a vedere perché nel cast c’era Benedict Cumberbatch. Cumberbatch da solo è un valido motivo per vedere qualsiasi cosa e comunque, nell’insieme, era un bel filmone d’azione, di quelli che si guardano senza impegno e che te li godi al cinema per gli effetti speciali e tutto il resto. Certo, Into darkness non finirà nella lista dei film più memorabili della storia del cinema, ma a me non dispiacque affatto pur con i suoi buchi di trama e la piattezza dei personaggi e l’utilizzo degli effetti speciali alla “noi siamo americani ce l’abbiamo più grande di tutti”.
E comunque, Cumberbatch da solo si mangiava tutto il cast. E gli oggetti di scena. E lo staff tecnico. E le cineprese…
E la cosa sarebbe potuta finire lì, non fosse che Apple che anche lei aveva visto il film, lo trovò talmente tanto interessante che ritenne di doversi procurare la Serie Classica, le tre stagioni degli anni Sessanta, quelle da cui è nato il fenomeno che ha dato vita a un fandom che, visto da una certa prospettiva è pure persino un bel po’ creepy (ho visto speciali sul collezionismo Trekker che voi umani…).
Watch Star Trek, she said. It will be fun, she said.
«Sarebbe interessante» dissi io ad Apple, «Ma è un mucchio di roba, non ho voglia di mettermi a scervellarmi appresso a serie di ennemila puntate con i film e i seguiti e i seguiti dei seguiti…»
«Beh, io comincio con la serie classica, così per curiosità, poi vediamo…».
Tempo un paio di giorni e tutto precipitò così vertiginosamente che io non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che stava succedendo. L’avatar di Facebook di Apple era un disegno stilizzato di un’immagine di Spock, la parola “vulcaniano” cominciava ad apparire nei suoi stati seguiti da cuoricini, la sua pagina Tumbrl era diventata monotematica, meme su Star Trek ovunque, mi parlava di tali William Shatner e Leonard Nimoy come se fossero i suoi zii e io manco sapevo chi fossero…
«Tu devi vedere Star Trek» mi disse una sera, durante una delle nostre lunghe webcall, una sfumatura vagamente isterica nella voce.
«Ma è roba lunga e poi non saprei dove procurarmela. In giro la trovo solo in italiano e io non guardo roba in italiano doppiata oggi, figuriamoci negli anni ’60!»
«Te la procuro io. In lingua. Con i sottotitoli. Tutto. TU.DEVI.VEDERE.STAR.TREK».
A un certo punto una piglia pure paura…
Terminai gli esami della sessione estiva che avevo già tutte e tre le serie sul computer.
Inizio agosto, caldo torrido che mi blocca in casa costringendomi a una fusione simbiotica con il ventilatore, noia, balla di fieno che rotola davanti ai miei occhi. Cominciai a vedere Star Trek.
La prima puntata mi lasciò abbastanza indifferente. La seconda pure. La terza anche e anche la quarta… e poi niente, di colpo mi trovai a parlare con Apple del fatto che non sapevo come avevo fatto a vivere senza quella serie tutti quegli anni. Così, da un momento all’altro e senza una spiegazione logica: il telefilm non ha trama orizzontale, è recitato come se a tutti scappasse la pipì, è ovviamente diverso da ciò che sono abituata a guardare, ma cazzo, è Star Trek e tu ti affezioni talmente tanto a quei personaggi e a quel mondo che soffri come un cane anche se sai che tanto entro la fine della puntata tutto si risolverà per il meglio, perché è Star Trek ed è una serie dove i buoni vincono. È Kirk e Spock e Bones, è l’Enterprise e un cane infilato in un parruccone per farlo sembrare una creatura aliena, è una serie di fantascienza prodotta quando non esistevano effetti speciali né pagine di fan su internet.
È bella! Se non l’avete mai vista non potete capire, è bella!
E poi c’è il capitano Kirk. Che anche lui è bbbello, ma bello forte eh…
Ora facciamo tutti finta che io sia in grado di fare un’analisi lucida della situazione.
Giuro che ero scettica sul fatto che una cosa creata e prodotta negli anni ’60 potesse avere tanta presa su di me, spettatrice smaliziata che ha visto un po’ di tutto e che ha persino un approccio accademico rispetto a certe cose. E in generale, mi aveva sempre lasciato perplessa il fatto che Star Trek fosse una serie ancora tanto amata anche dalle nuove generazioni.
Ma come ho detto, se non la si vede non si può capire.
A dirla tutta, continuo ad essere perplessa perché, al di là della questione “roba d’epoca filtrata da uno sguardo giovane”, resta il fatto che Star Trek non è il mio genere, io non sono tipa da amare “i buoni” e Star Trek è una storia sui buoni che racconta il punto divista dei buoni, i buoni che vincono sempre, che sono sempre eroici, giusti, leali, più in gamba di tutti gli altri, con i valori migliori di tutti gli altri. I buoni estremi, insomma, e quindi un po’ poco realistici, perché si sa, il mondo non è fatto di bianco e nero, ma di una lunga gamma di sfumature di grigio senza confini netti.
Ma i personaggi della serie non sono “buoni e basta”, ed è per questo che si finisce per amarli, ed è per questo amore che si segue la serie pur senza la trama orizzontale, pur con tutte le facilonerie con cui a volte si risolvono le situazioni più pericolose o di maggior tensione, pur con tutte le cose scontate che uno capisce dopo mezza inquadratura.
E paradossalmente uno degli aspetti più affascinanti della serie sta proprio nel suo buonismo, perché era un buonismo genuino che parlava di fede in un futuro che avrebbe potuto essere migliore e che parlava di persone, tutto sommato, normali in grado di realizzarlo, persone che avremmo potuto essere noi.
Oggi non si riesce quasi più a scrivere di storie e personaggi del genere senza cadere nel mellifluo, nello stucchevole. Non si riesce tanto facilmente a raccontare di un capitano coraggioso che tiene alla sua nave e al suo equipaggio più che a se stesso senza farlo apparire surreale ed esagerato, persino indigesto a volte. Non si riesce a raccontare di un medico burbero che, qualsiasi cosa accada, riesce sempre a rimanere ancorato a quei valori umani e di rispetto per la vita che a un medico non dovrebbero mai mancare… oggi se si vuole parlare di medici fighi si parla di Dottor House, misantropo e senza fede, e per inciso io sono una fan dei telefilm di House, ma quello che sto cercando di dire è che Star Trek raccontava di personaggi straordinari che restavano “normali” pur nella loro straordinarietà.
È una cosa che io, da amante delle storie, non posso che apprezzare proprio perché è rara nelle storie in cui si incappa oggi (e che io stessa scrivo).
Altra nota di merito: io non so come sia in italiano e non voglio saperlo (sono incappata in uno spezzone una volta per sbaglio e le orecchie non hanno ancora smesso di sanguinare), ma nella versione originale che ho visto io i dialoghi e gli scambi di battute sono veramente brillanti, almeno quelli tra il trio protagonista.
In giro per la rete, tra siti di fan, articoli, video di interviste agli attori e a quelli che ci hanno lavorato, sono stati ampiamente sviscerati i temi etici e sociali che la serie intendeva toccare in contrasto con l’America della Guerra Fredda, del conflitto in Vietnam, del clima razzista nei confronti degli afroamericani, e mi sembra superfluo stare qui a sottolineare l’arguzia della cosa. Anche senza andare a toccare le questioni socio-politiche dell’epoca, si potrebbe parlare dei temi di Star Trek per centinaia di pagine, il rapporto dell’uomo con ciò che non conosce, i valori di amicizia e cameratismo e avanti così fino a quando non vi sarà venuto sonno a furia di leggere (siete ancora qui? Complimenti!)…
E nei momenti di maggior sofferenza (tra personaggi che rischiano la pelle, o che sono messi davanti a scelte impossibili, o che finisco torturati, e Kirk che fa il donnaiolo e tu vorresti ucciderlo perché lui è l’uomo della mia vita e non deve andarsene in giro a pomiciare con donne insipide a caso… ehm, ho un vago debole per il capitano Kirk, si era notato?), che davvero ci sono puntate che sembrano essere state scritte dal nonno di Steve Moffat, io mandavo messaggi colmi di feelZ ad Apple e le dicevo che la odio perché mi aveva trascinata in quella follia.
Mi rendo conto questo sproloquio da blog non aggiunge niente alla fama del telefilm, prendetelo per uno sfogo personale… avevo davvero bisogno di parlare di questa cosa!Ora devo guardare i film sequel della Serie Classica, e poi guarderò The Next Generation… e via così, to boldly go where no man has gone before!
E naturalmente io non odio Apple. She is the Spock to my Kirk!
(PS off topic: avevo detto che volevo riprendere in mano il blog. E ci ho messo un mese per aggiornarlo. Ma ce la farò…)