Alla fine ho finito – NaNoWriMo day 27

È così. Ho finito il NaNo, ci sono arrivata in fondo e anche con qualche giorno di anticipo, martedì, e con qualche parola in più delle cinquantamila previste dal regolamento.
Che poi, finito è un modo di dire. La fine del NaNo non coincide con la fine del racconto, la vicenda non è conclusa, anche se le carte in tavola per il finale sono già state messe e la parola fine non è poi tanto lontana.
Non so come ho fatto a farcela. Non parlo di “tempo”, a trovare il tempo pre scrivere non ho mai avuto problemi e sono allenata a scrivere velocemente. Mi riferisco al riuscire a buttare giù quasi tutta la storia (in un tempo relativamente MOLTO breve), a non rimanere bloccata senza sapere come continuare, e a non farmi abbattere dalla preoccupazione che potesse non essere un buon lavoro. Ve l’ho detto, di originali nella mia vita ne ho finito solo uno ed è stato tempo fa.
Forse è stata fortuna. Avevo in mente quasi tutta la trama con una certa nitidezza, e molte altre cose si sono incastrate da sole, man mano che la foga mi spingeva a mettere le frasi una dietro l’altra.
Forse è proprio questo il “miracolo” del NaNo, e io ero un po’ scettica dato che lo scorso anno non è andata proprio benissimo. Ma è stata un’esperienza divertentissima, e ribadisco, consiglio a tutti i soggetti scriventi di provarla, anche a chi pensa che non sia il modo migliore di giocare con la scrittura.

Per quel che riguarda la fine vera e propria della storia, penso che la prossima settimana andrò avanti cercando di impormi un minimo di un migliaio di parole al giorno fino a quando non la finisco.
Il finale di Thistle è un finale difficile e che mi spaventa. E mi spaventa non solo dal punto di vista narrativo, ma anche per quello che ne seguirà: la nostalgia per i personaggi, che sono tutti personaggi a cui ho iniziato a voler più bene di quanto credessi, e il lavoraccio di revisione.
Ma intanto penso ad arrivare al The End del racconto. Poi lo lascerò a “macerare nel cassetto” per un po’. E forse, tra qualche mese, dopo gli esami e prima dell’inizio del secondo semestre, mi dedicherò alla revisione, che è una cosa che riesco a fare come si deve solo quando il tempo mette la giusta distanza tra me e la storia.
Per adesso lasciatemi stare qui a guardare con occhi di mamma le mie belle cento e passa pagine di word *___*

Pubblicato in W.I.P. (writing in progress) | Contrassegnato , , , , , , , , | 2 commenti

Thor – The dark world: sfogo a mente lucida

Sarà lungo e conterrà lievi spoiler. Sapevatelo!

L’argomento di questa settimana non può essere il NaNo (tutto a posto, comunque, procede bene) perché questa settimana è uscito Thor – The dark world. E io ho bisogno di sfogarmi ora che sono passati un paio di giorni e il mio cervello ha ammortizzato la botta.
Cominciamo con il dire che il film mi è piaciuto, è un film assai godibile, nettamente superiore al primo sotto praticamente ogni punto di vista (anche la recitazione di Chris Hemsworth l’ho trovata migliorata, chi l’avrebbe mai detto).
Molto bella la rappresentazione di Asgard, meno “plasticosa” e più da realistico regno fantasy. Non a caso il regista era Alan Taylor, lo stesso di Game of Thrones.
Eccellente la scrittura dei personaggi. Laddove il primo film si concentrava solo su quelli principali, anzi, praticamente solo su Thor e su Loki (ma su Loki anche un po’ di meno), qui anche i personaggi più secondari vengono mostrati un po’ meglio e ne risulta un quadro notevolmente più complesso e sfaccettato di quello della famiglia sgangherata con un figlio adottivo in crisi esistenziale e un figlio legittimo venuto su come una bambinone viziato.
Il personaggio di Thor in questo film è un personaggio veramente bello. Lo era in potenza nel primo film e in The Avengers, qui dà il meglio di sé (nota: se continuo a trovare fanfiction in cui lo dipingono come un caprone beota faccio una strage che l’attacco dei Chitauri a New York sembrerà una bazzecola).
Loki, abbattuto dalla figura di mer… ehm, dalla sconfitta, confinato in prigione dove ha il tempo di pensare, leggere, arredare e riarredare una ventina di metri quadri di cella sottovuoto, è meno truce è più stronzo. Stronzo in modo adorabile, si intende, dispettoso, ironico, pungente, senza perdere le sue caratteristiche di ingannatore e anche il suo lato più drammatico di individuo fragile, spezzato dentro dalla sua stessa follia come dalla delusione per essere stato allevato alla luce di una menzogna. (Nota: quando si presenta a Malekith dice: “Sono Loki di Jotunehim”. Il suono del mio cuore in frantumi per i sottintesi di questa affermazione credo si sia sentito il tutta la sala).
Odino è il re fiaccato dagli eventi, sempre più schiacciato dalla vecchiaia e dal peso della corona. Praticamente un sovrano autoritario che non conosce altro modo di governare e un padre/marito che non riesce a stare al passo con le cose che sono avvenute nella sua famiglia. Irritante come persona, ma interessante come personaggio e molto più vicino a quello del comicverse di quanto non lo fosse nel primo film.
Frigga spacca (sia in senso metaforico che in senso letterale) e io la amo!
Sif è un personaggio che amavo già tanto, così sulla fiducia, in questo film è una donna meravigliosa che essendo stata rifiutata come compagna, sceglie ugualmente di rimanere fedele come amica, senza autocommiserazione. E se mi interessasse il genere, Jaimie Alexander sarebbe il mio sogno erotico.
Nota di demerito a Malekith. Solito cattivo vendicativo senza spessore, che vuole spaccare tutto perchessì.
Altra nota di demerito a Jane Foster. Pensavo che in questo seguito avrebbero fatto meglio con la sua caratterizzazione, invece sono riusciti a fare quasi peggio. In potenza lei rimane un bel personaggio, ma sulla carta le hanno dato poco spessore, e per di più in questo film tre quarti delle cose succedono perché Thor è in modalità “Jane… quanto amo Jane! Dobbiamo salvare Jane! Jane è malata! Jane! Jane! Jane!”… tipo Bella di Twilight, avete presente? (ok, non così tanto, era solo per rendere l’idea).

Il film ha il difetto di essere troppo breve, un’ora e tre quarti circa, una mezz’ora in meno a The Avengers. Penso che qui si veda un po’ il neo del regista, abituato alle misure televisive piuttosto che a quelle del grande schermo. I tempi della pellicola sono gestiti un po’ maluccio, con troppi tagli e con troppi intervalli per inserire gag a caso, che ci stanno bene, ma suonano quasi come interruzioni pubblicitarie per ricordare al pubblico che “ehi, siamo la Disney, facciamo divertire! Ridete. Ho detto RI-DE-TE!”, anche se nel complesso ironia e drammaticità sono quasi sempre bene equilibrate.
Insomma, se fosse durato almeno un quarto d’ora in più, e avessero inserito qualcuna delle scene che ci avevano fatto intravedere nei vari video-markettone con i quali ci hanno sfracassato l’anima nei mesi precedenti, sarebbe stato meglio, quanto meno sarebbe risultato più fluido e meno frettoloso.
Il finale è un Finale, di quello che in mezzo minuto ribalta tutto e poi lo riassesta su un equilibrio del tutto inatteso. Anche se ci lascia con un enorme punto di domanda, di quelli che ti fanno odiare la comparsa dei titoli di coda.
(oddio, qualche indizio su che fine ha fatto Odino potevano pure inserirlo, eh, avrebbe reso un po’ migliore il tutto… chi ha visto il film capirà).

Il vero problema è un altro. E qui non c’entra il film in sé o la resa dei personaggi o il lavoro di questo o di quell’altro regista.
Io amo i film di supereroi, e ho un particolare affetto per quelli della Marvel, e ancora più affetto ho per il franchising di The Avengers e i personaggi che lo popolano. Però ho notato (e con Thor 2 ne ho avuto la conferma), che tutto si sta assestando su un meccanismo narrativo che si ripete sempre uguale.
The Avengers come film era una cosa a parte (e per me una pellicola quasi perfetta), punto di raccordo delle storie precedenti e punto di partenza di quelle successive.
Ma il secondo Thor a ben guardare presenta gli stessi elementi del secondo (e, stringi stringi, persino del terzo) Iron Man. E a questo punto mi preoccupo per il secondo Captain America, che come ci ha ricordato anche il cammeo-markettone quando Loki si trasforma in Steve Rogers per prendere in giro Thor, è il prossimo film della Fase 2 in uscita (ma a me Cap sta un po’ sullo stomaco, e il primo film era così pessimo che dubito possano fare peggio).
Mi spiego meglio: a guardarli, questi film sono praticamente sempre la stessa cosa.
C’è il nemico vendicativo che viene dal passato e che se anche non ha del tutto ragione si riserva il diritto di essere incazzato con il protagonista (Ivan per Iron Man VS Malekith per Thor).
C’è il pericoloso “problema di salute” che tocca da vicino il protagonista (l’intossicazione da palladio di Tony VS Jane posseduta dalla fluttuante marmellata di fragol… ehm, sostanza aliena che le è entrata in corpo).
C’è l’altro cattivo, il rivale, ma meno cattivo del cattivo principale (Hammer contro Tony VS Loki contro Thor).
C’è la componente “amicizia collaborativa salvachiappe” (Rodey per Tony VS Sif e i Tre Guerrieri per Thor).
C’è il rapporto amoroso che si deve assestare (Tony/Pepper VS Thor/Jane).
C’è l’eroe che capisce l’importanza di quello che è ma che scopre anche il suo lato più vulnerabile e umano e deve decidere cosa fare della sua vita (e Tony e Thor fanno più o meno la stessa scelta: prendono atto della cosa e si propongono di far funzionare la convivenza tra questi due aspetti delle loro vite).
Cioè… se volessimo prendere solo la struttura e gli elementi narrativi, The Dark World e Iron Man 2 sono praticamente lo stesso film in cui succedono più o meno le stesse cose (ci aggiungo anche il terzo Iron Man, per il quale potrei fare lo stesso discorso, e lì pure le locandine sono uguali!).
Posso solo sperare che sia una coincidenza non voluta e non una cosa dettata dalla pigrizia da “massì, tanto la gente lo va a vedere lo stesso perché è un film Marvel e ci sono gli gnokki e le gnokke che menano le mani!”. E lo spero perché, come ho già detto, questo è un universo narrativo al quale tengo molto, con personaggi straordinari con i quali scrittori e sceneggiatori potrebbero fare grandi cose, se volessero.
Se sputtanano tutto con i prossimi film faccio un macello: TRUST MY RAGE!

Pubblicato in Ciarle cinematografiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Giro di boa – NaNoWriMo day 14

La seconda settimana del NaNo si chiude a 36018 parole.
Ora posso procedere più a rilento, anche perché la storia lo richiede, la trama è arrivata a quel punto in cui le cose precipitano e si avviano alla conclusione (anche se la suddetta conclusione non è proprio vicinissima).
Si dice che il terzo tentativo sia quello buono, di solito. E come dicevo qualche post fa, questo è in effetti il mio terzo tentativo di scrivere qualcosa di “serio”, di scrivere davvero.
Non so dire se sia la volta buona, ho una fifa blu di quando prenderò fiato, mi siederò tranquilla e rileggerò quello che ho scritto a ruota libera in queste settimane. Perché la storia c’è, parole e scene si lasciano mettere in fila senza problemi, il più è vedere se effettivamente funziona, se quello che che avevo in testa è arrivato sulle pagine in maniera comprensibile, se n’è valsa la pena non solo per l’aspetto ludico della faccenda (che comunque da solo varrebbe comunque lo sforzo, fidatevi).
Che dovrò riscriverla l’avevo messo in conto come una certezza, era una cosa che avrei fatto comunque, anche se avessi scritto cinquantamila parole in un anno. Lo scopo della partecipazione al NaNo non era darmi fretta per riuscire a togliermi lo sfizio di avere tante pagine nel file di word, ho scelto di partecipare perché volevo trovare lo stimolo per costringermi a buttare fuori una storia che altrimenti, forse, sarebbe rimasta a languire nella mia testa. E non ho pretese per questa storia, se non quella di scriverla bene e raccontarla ancora meglio, perché ci tengo, per me stessa.
Perché va bene divertirsi, ma arriva anche il momento in cui ci si deve mettere alla prova.
E perché Socio, che si è sorbito tutti gli sproloqui possibili su Thistle e che mi ha lasciato trasformare una cena al giapponese in una seduta di brainstorming a due, alla fine mi ha fatto notare che il proposito di tenere i miei lividi lontani dalle robe che scrivo non è stato mantenuto, eppure questa cosa la sto scrivendo, l’ho scritta anche quando ha fatto male. Se Thistle non vale la fatica, potrebbe valere almeno il coraggio…

Pubblicato in W.I.P. (writing in progress) | Contrassegnato , , , , , | 6 commenti

Dilettanti allo sbaraglio, ma non troppo – NaNoWriMo day 7

La prima settimana dall’inizio del NaNoWriMo si chiude in bellezza, con 20228 parole scritte.
È comprensibile che scrivere cercando di far quadrare i conti sia delle tempistiche che del numero di parole non sia il modo ritenuto più congeniale, per i più scettici addirittura il modo meno professionale di approcciarsi alla scrittura. E io non sono una scrittrice, ma ho lavorato per un po’ in una redazione giornalistica dove può capitare che ti diano un numero di battute e una scadenza, o che tu abbia un autobus da prendere perché sei una pendolare e se non finisci il pezzo perdi il suddetto autobus e ti tocca restare lì per tutto il pomeriggio perché i collegamenti tra il centro di Modena e la provincia reggiana fanno schifo. Per di più, sono un’universitaria, avete presente? “Voglio che esponiate la teoria dei Sistemi di Luhmann in una pagina e mezza. Avete mezz’ora di tempo”.
Quindi che non mi si dica che tempistiche ristrette unitamente a conteggi di parole non sono cose serie, realistiche o professionali.
Al di là della questione numerica (che è comunque uno degli aspetti focali dell’iniziativa), quello che, alla fine di questa prima settimana di scrittura compulsiva, mi rende contenta è che mi sto divertendo a scrivere come non mi era mai capitato, e per questo devo sentitamente ringraziare lo spirito del NaNo. A me piace scrivere e mi diverto sempre a farlo, ma quando metto mano a qualcosa che annovero come “serio” tendo a tenere molto d’occhio lo stile e a pensare costantemente a quello che può essere il risultato nel suo quadro di insieme, che è cosa buona e giusta, certo, ma non è l’unico modo per far funzionare le cose.
Ecco, il NaNo offre l’occasione di fare le cose in un’altra maniera; scrivi in fretta, scrivi tanto, scrivi e basta. Scrivi e segui l’estro, scrivi per raccontare nel senso più stretto del termine: hai delle scene in mente e le traduci in parole, inanellandole una dietro l’altra per dare corpo a una storia. Perché la storia c’è, sia chiaro, non è un semplice buttare giù frasi per fare numero.
Parlando proprio della storia, anche qui il NaNo si sta rivelando un piccolo miracolo. La trama si lascia seguire che è un piacere, i personaggi ci mettono il loro e tutto scorre. Non che possa dirlo con certezza, ma ho il sospetto che se mi fossi messa a scrivere riflettendo su ogni passaggio, ci avrei guadagnato in qualità, ma la trama e i personaggi ci avrebbero perso in possibilità e sfaccettature che solo lo scrivere di getto è in grado di mettere in luce. Ed è una cosa che mi è capitata solo in rari momenti di grazia scrittoria, invece ora sta capitando perché io la sto facendo capitare… è una cosa che gasa tantissimo.
Il fatto è questo: la qualità di uno scritto è una cosa alla quale puoi sempre arrivare in un secondo momento, correggendo e riscrivendo; il lampo di un’idea, l’ingegno che serve per mandare avanti una storia quando i dettagli ti sfuggono è qualcosa che dura un momento e se lo perdi non lo recuperi più. Motivo per cui consiglio a tutti di provarlo, il NaNo, almeno una volta.
E poi, al di là di tutto, come ha detto Patrick Rothfuss in uno dei messaggi di Pep talk arrivatoci ieri: “We’re all writers here. We’re awesome by definition.”

Pubblicato in W.I.P. (writing in progress) | Contrassegnato , , , , , | 1 commento

C’era una volta un NaNo in mezzo alle erbacce…

La prima volta che mi misi in testa di scrivere qualcosa di “serio” era l’ottobre del 2009. Si trattava di una storia hurban-fantasy che chiamavo la Creatura perché non ero mai riuscita a trovarle un titolo decente e mi era nata la mania di chiamare le mie storie con i nomi poco lusinghieri che spesso meritano.
Come tutte le cose con la pretesa di essere serie senza esserlo davvero, mi prese parecchio.
C’era un clan di licantropi, un’associazione segreta, una giovane scrittrice, una vagonata di sangue e persino un triangolo amoroso. La location era una città fittizia situata nelle Highlands scozzesi.
Ci lavorai moltissimo. La storia diventò l’inizio di quella che avrebbe dovuto essere una vera e propria saga di ennemila puntate. La scrissi, la riscrissi, la lessi, la rilessi, e cominciai anche la seconda stesura. Tutt’ora il risultato non mi dispiace e vivo nella convinzione che un giorno la riprenderò in mano (o mi convincerò a buttarla via, non so).
La seconda volta che mi sono messa in testa di scrivere qualcosa di “serio” è stato lo scorso anno, dopo l’estate. La storia che avevo in mente era una di quelle cose ben al di là delle mie possibilità. Ci sono storie che non vanno d’accordo con il proprio modo di raccontare, o per le quali non si è in grado di trovare il giusto registro. E soprattutto, ci sono storie rispetto alle quali non avrai mai il distacco necessario, quelle che inventi mettendoci dentro i tuoi lividi e poi ti fai male quando ci metti sopra le mani. Però non lo sapevo finché non provai a scriverla, e ci provai in occasione del NaNoWriMo dello scorso novembre. Un disastro.
La terza volta che mi sono messa in testa di scrivere qualcosa di “serio” è stato dieci giorni fa. Come faccio a sapere che è “serio” dopo così poco tempo? Beh, lo so perché la storia mi girava in testa da tanto, dieci giorni fa è semplicemente successo che ho capito che so come fare e sono partita, così, alla cieca, senza scalette, appunti, pronostici, non avevo neppure bene in mente l’età e l’aspetto dei personaggi principali. So solo cosa deve succedere (e in molti passaggi non so ancora nemmeno come).
C’è un musicista, una giornalista rimasta senza lavoro, un altro giornalista che viene dall’estero con un segreto sul musicista. La location è la provincia reggiana, praticamente casa mia (la mia casa adottiva, quanto meno). E contrariamente a quanto mi piace di solito inventare, non ci sono elementi fantastici.
La storia ha un titolo provvisorio, che senza alcun motivo preciso è in inglese, Thistle, Cardo. Potrei affettuosamente chiamarla l’Erbaccia, immagino.
In questi dieci giorni ho scritto i primi due lunghi capitoli, una quarantina di pagine di word che si sono ammucchiate non so nemmeno io come. Forse dovrei chiederlo alle mie occhiaie.
Domani ricomincia il NaNo e sembra cadere a fagiolo, perché questa storia può scriversi solo di getto, senza pensare troppo, perché è una di quelle storie dalla trama piuttosto semplice (almeno nella prima parte, che è quella di cui mi sto occupando) e quindi con una montagna di dettagli a cui pensare. E se penso troppo ai dettagli, se mi prendo troppo tempo, mi impantano e non ne verrò mai più fuori.
Lo scopo del NaNoWriMo è quello di riuscire a scrivere cinquantamila parole nell’arco del mese di novembre. Se riuscissi a scrivere con il ritmo con cui ho scritto in questi ultimi dieci giorni non ci sarebbe quartiere, ma so che non ci riuscirei senza avere una scadenza, come so che non devo pensare troppo alla storia mentre la scrivo, altrimenti mi cadrà sulla testa come un castello di carte.
Il fatto che io ami questa storia non vuol dire che la ritengo “bella”, il problema me lo porrò se e quando l’avrò finita e mi va bene così… e riguardo al NaNo, non vedo l’ora che cominci. Auguratemi buona fortuna!

Join to the dark side, we have cookies, coffee, sleeplessness and other stuff

Pubblicato in W.I.P. (writing in progress) | Contrassegnato , , , , , | 5 commenti

Agents of S.H.I.E.L.D. – appunti di una teledipendente

Sappiamo tutti che non so scrivere recensioni e sappiamo anche che dare un giudizio su una serie tv dopo soli tre episodi potrebbe non essere cosa buona e giusta, ma è un po’ che rimugino su Agents of SHIEDL, e due parole devo spendercele.

L’abbiamo aspettata, questa serie, abbiamo perso diottrie dietro i trailer e gli sneak peek, i poster… intendo noi, attaccati alla scia luminosa lasciata da The Avengers nel nostro piccolo cielo di fan ossessivo-compulsivi, dove ancora brillano le stelline accese dal cerchio del reattore Arc nel petto di Tony Stark e lo sbirluccichio delle corna sull’elmo di Loki. L’abbiamo voluta, e ce l’hanno data.
Per molti di noi l’agente Phil Coulson era un personaggio più che marginale, poco più di una macchia sullo sfondo, confesso che a me è stato anche un po’ sullo stomaco quando, con imperturbabile calma, ha portato via a Jane Foster tutte le sue robe in Thor. Poi è arrivato The Avengers e il buon Phil ha subito l’ilarità di Stark, gli effetti collaterali del proprio fangirlismo nei confronti di Captain America (che ci ha fatto urlare con somma soddisfazione “Coulson uno di noooi”), l’ira di Loki e il di lui scettro nel petto finché morte non è sopraggiunta; Fury ha usato la dipartita di Coulson per far leva sullo spirito di squadra degli Avengers, dando loro un comune denominatore perché cominciassero a prendere sul serio la minaccia rappresentata da Loki e dai suoi E.T. belligeranti, e avanti così fino ai titoli di coda… e a noi Coulson c’è stato parecchio più simpatico dopo la visione di The Avengers, abbiamo anche scoperto insieme a Tony che il suo nome di battesimo non è “agente”, e non c’è niente di male in questo.
E non c’è niente di male neppure nello sfruttare le possibilità (narrative e commerciali) nate da questa simpatia che il pubblico ha sviluppato per il personaggio, quindi ben venga una serie tv incentrata su un Coulson redivivo (che è ufficialmente morto lo sa anche chi non ha visto The Avengers, lo ripetono mediamente dieci volte a episodio) e sulla cui risurrezione aleggia un velo di mistero che temo farà piangere lacrime di sangue a tutti noi, che viene incaricato di mettere insieme una squadra speciale per fare più o meno quello che lo SHIELD ha sempre fatto in decadi di fumetti… ma, ehi, dopo l’attacco di New York il mondo è cambiato, la gente ha visto gli alieni e le fangirl hanno scoperto Tom Hiddleston e incrementato l’utilizzo di Tumbrl e la produzione di fanfiction.
Al di là della simpatia per Coulson e della fiducia riposta in Joss Whedon, c’era davvero bisogno di questa serie? La risposta che darei io, dopo i primi tre episodi, è: no, ma già che c’è la si guarda.

Squadra speciale messa insieme dal redivivo Coulson, dicevamo, composta da:
Grant Ward, un agente speciale che con la sola forza del dito mignolo può rivoltarti come un calzino in mille modi diversi e per questo ritiene di dover sfoggiare un muso da duro un’inquadratura sì e l’altra pure, oltre che ostentare la socievolezza di una pianta da appartamento. Perché da piccolo suo padre lo picchiava (non so se c’entra, ma agli autori credo paia una buona spiegazione per l’esistenza di uno dei personaggi più odiosi che l’universo telefilmico abbia mai visto dopo le femmine inutili delle varie stagioni di Supernatural).
Melinda May, non lo sappiamo se pure lei aveva un padre che la picchiava, ma sappiamo che in passato le sono capitate robe brutte mentre era in servizio, per questo può esibire anche lei il muso duro d’ordinanza e guardare tutti con aria torva e picchiare come un fabbro. E lei non ci voleva venire in questo telefilm, ma Coulson l’ha convinta dicendole che non avrebbe dovuto fare altro che guidare un aeroplano (anche io quando provo a convincere Socio a portarmi da qualche parte gli dico che non deve fare altro che guidare la macchina, ma non funziona mai), che si sa che dal guidare un aeroplano a finire coinvolti in una sparatoria nella giungla peruviana il passo è breve.
FitzSimmons (Leo Fitz e Jemma Simmons), i due figli segreti di Tony Stark e Licia Colò; geni della cibernetica, smanettoni, finiscono l’uno le frasi dell’altra, ti fanno venire dei seri dubbi su come funzionino le assunzioni lì allo SHIELD e se non dovrebbero essere tutti più severi sulle perizie psichiatriche dei nuovi assunti (e degli sceneggiatori della serie), ma finisci irrimediabilmente per adorarli, perché sì, o quanto meno, diciamo che volendo inserire a tutti i costi l’elemento comico e buffo, gli autori se la sono giocata piuttosto bene. Non si sa ancora niente sul loro background e sul perché siano simbiotici come un tartufo, ma spero che me li trattino bene e che i loro papà non li picchiassero.
E poi c’è Skye, che già solo con il nome apre nuovi orizzonti nella definizione di Mary-Sue e che non ha neppure bisogno di un cognome. È l’hacker bella-buona-brava che riesce a eludere la sicurezza dello SHIELD con solo un furgoncino, una bambolina hawaiana e il wi-fi pubblico di New York, attirando l’attenzione di Coulson. Dopo tre episodi gli altri personaggi si stanno ancora chiedendo perché Phil l’abbia voluta in squadra (se lo chiedono loro, figuratevi io). Mary-Sue da manuale, dicevo, nella scena prima non sa neppure come tirare un pugno a un sacco appeso al soffitto, nella scena dopo disarma un tizio che le punta contro la pistola con una mossa che Ward le ha fatto vedere mezza volta quando lei neppure stava attenta. Lei e Ward si sono presi in antipatia da subito e quindi si aprono scommesse su quanti episodi impiegheranno per finire a letto assieme. Da piccola nessuno la picchiava (ed è cosa buona e giusta, ma un paio di ceffoni a scopo cautelativo male non le avrebbero fatto), però è orfana e per di più accolta e poi abbandonata da svariate famiglie adottive. Considerando quanto è amabile la ragazza, la cosa non sembra neppure così improbabile come è di solito il background di ogni Mary-Sue che si rispetti…

Insomma, diciamo che le premesse non sono un granché per quel che riguarda i personaggi, stereotipati e prevedibili, che sanno di già visto, e che le situazioni e gli intrecci descritti non brillano per originalità e, fino ad ora non c’è niente che aggiunga qualcosa di nuovo al genere… abbiamo la squadra speciale che non fa squadra salvo poi imparare la legge del volemosebbeneh messa di fronte alla prospettiva di essere buttata giù dall’aereo in quota; l’episodio della ex donna di Coulson (no, non la violoncellista di Portland, un’altra, una soldatessa peruviana… sì, Phil è un uomo molto eclettico) una volta alleata che riciccia fuori dal nulla con la scritta luminosa in fronte “entro dieci minuti tenterò di sedurti, poi ti tradirò e minaccerò di morte i tuoi compagni, ma tu mi salverai la vita lo stesso”; la comparsata di Fury che sbraita contro Coulson perché mentre era in missione per lo SHIELD gli ha mezzo distrutto il super-aereo che avevano dato in dotazione alla squadra (manco per la quasi distruzione dell’Elivelivolo gli era presa così male al vecchio monocolo) e perché non vuole che FitzSimmons abbiano un acquario (soffre ancora di sindrome post-traumatica dopo l’attacco di New York, è l’unica spiegazione possibile al fatto che gli freghi qualcosa dell’acquario di FitzSimmons). E ci sono più strizzate d’occhio al fandom in cinque minuti di questa serie che in dieci pagine di siti di fanfiction.

Ma abbiamo anche dialoghi e battute che funzionano molto bene, momenti di comicità che strappano effettivamente il sorriso, il tentativo riuscito di creare un mondo che riesce a stare in piedi anche con quel poco che sappiamo fino ad ora dei personaggi e delle situazioni, e anche quello che sembra essere un miglioramento generale nel terzo episodio. E abbiamo Phil Coulson, e a noi piace Phil Coulson!

Per riassumere, non è la serie di cui aspetto con trepidazione l’episodio successivo settimana dopo settimana, ma quando arriva il mercoledì pomeriggio e salta fuori la puntata sottotitolata, mi fa piacere trovare il tempo di guardarla e non ho la sensazione che sia tempo sprecato (come invece mi sta capitando con la stagione conclusiva di Dexter, per dire, ma questa è un’altra storia…). E spero in qualche bella sorpresa, ma non mi stupirei se non ce ne fossero e se l’attaccamento al fandom (al quale la serie non aggiunge granché, diciamolo) non fosse un motivo sufficiente per continuare nella visione.

A proposito di Marvel, The Avengers, Tom Hiddleston e circondiario… come l’universo internettiano-mediatico tutto seguita stolidamente a ricordare, il mese prossimo esce Thor – the Dark World. Io non so se sono pronta ad affrontare una seconda volta tutto quello che so che seguirà la visione di questo film. Sapevatelo.

Pubblicato in Tv e circondario | Contrassegnato , , , , , , | Lascia un commento

Fanfiction, balocchi e Maritozzi

Spesso mi dico che dovrei smetterla di scrivere fanfiction e provare seriamente a scrivere delle originali, non perché abbia la presunzione di essere una “scrittrice” né per l’idea di tentare strade professionali (anche perché credo che certe idee vengano dopo la scrittura e non prima, che debbano stare a posteriori e non a monte), sono cose romantico-adolescenziali che andavano bene qualche anno fa, adesso sono grandicella e vedo le cose sotto un’altra luce. Semplicemente a volte penso che sarebbe divertente provarci, anche solo per mettermi alla prova.

Mi dico che dovrei smetterla di scrivere fanfiction, dicevo… e in questi dialoghi con me stessa, in cui mi dico queste cose, alla fine a spuntarla è sempre la me stessa ludica affetta da perenne sindrome di Peter Pan che mi guarda in faccia e con espressione innocente e un po’ ebete mi domanda: «E perché mai?».
E la me stessa seria (ehi, c’è una me stessa seria, giuro!) non ha ancora trovato una risposta soddisfacente alla domanda.
Fanfiction siano, allora!
A maggior ragione adesso, a maggior ragione in questo periodo in cui la me stessa “ho-il-cervello-di-una-undicenne-ed-è-fighissimo!” dovrebbe farmi la cortesia di restarsene nella sua stanza dei giochi e lasciare le cose serie in mano agli adulti, alla me stessa adulta che già si tiene su a fatica e rischia di scivolare su una buccia di banana, come nel più ridicolo dei cliché, ogni volta che tenta di mettere il naso fuori dalla porta.
E per tenermi impegnata, oggi ho iniziato la stesura di una roba che chiameremo con l’affettuoso nomignolo di Maritozzo (che a prenderla seriamente non ce la si può fare). Dicasi Maritozzo una fanfiction su Star Trek, che non credo avrò mai la faccia tosta di far uscire dal mio pc, che più che una storia con un capo e una coda è in realtà una sorta di biografia di un OC che ho ritenuto di dover ficcare tra le file della Starfleet e far interagire con i personaggi. Perché sì e non solo perché Star Trek è la mia attuale ossessione-Roddenberry-esci-da-questo-corpo! E perché voglio vedere su che posizione la mia penna è pronta ad assestarsi, ammesso che lo sia. E perché è divertente, talmente tanto divertente che la mia parte scema sta battendo le mani con sorriso maniacale da tutta la mattina…

Che ci volete fare, ognuno ha i suoi mezzi per mantenersi giovane!

Pubblicato in W.I.P. (writing in progress) | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

Here we go…

Lunedì riprendo l’università e sono contenta perché io amo quello che studio.
Ma c’è una cosa che quest’anno non è a posto, manca quella sensazione di entusiasmo per il nuovo, il mettere in fila i buoni propositi che non importa se non li manterrai. I buoni propositi non sono fatti per essere mantenuti, sono fatti per darti la spinta a lanciarti, poi se ti mantieni in volo è un altro paio di maniche…
I buoni propositi sono la misura della fiducia che abbiamo in noi stessi e alle soglie di quest’anno mi sento molto scoraggiata. Non sono arrivata qui leggera e carica come gli anni passati o come le altre situazioni nuove che ho vissuto, sono pesante, stanca e preoccupata che i pesi dei quali non riesco a liberarmi facciano crollare tutto.
Non crollerà, lo so, e non crollerò io. Me lo ripeto, e riesco anche a crederci. Solo che questo è uno di quei momenti in cui vorrei che non fosse solo la mia voce a tentare di convincermi che tutto andrà bene.

Pubblicato in Chiacchiericcio | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

The final frontier

THE FINAL FRONTIER, OVVERO DI COME MI GIOCAI DEFINITIVAMENTE IL CERVELLO

Premessa
A Roma ho un’amica alla quale voglio molto bene. Si chiama Francesca, ma noi la chiameremo Apple perché è così che io la chiamo di solito, soprattutto quando sono molto esasperata.
Non fidatevi delle mele, la prima volta che una mela è comparsa nella storia dell’uomo è successo un macello, avete presente?!
Apple ha un ruolo importante in quanto sto per andare a scrivere.

Di attori britannici e di reboot improbabili
A metà giugno di quest’anno è uscito Into darkness, il secondo film reboot della Serie Classica di Star Trek (sì, quello fatto da J.J. Abrams, sì, il creatore di Lost), un mondo rispetto al quale vivevo nella più totale e beata ignoranza, non fosse per qualche nozione acquisita di riflesso guardando The Big Bang Theory.

Into darkness lo andai a vedere perché nel cast c’era Benedict Cumberbatch. Cumberbatch da solo è un valido motivo per vedere qualsiasi cosa e comunque, nell’insieme, era un bel filmone d’azione, di quelli che si guardano senza impegno e che te li godi al cinema per gli effetti speciali e tutto il resto. Certo, Into darkness non finirà nella lista dei film più memorabili della storia del cinema, ma a me non dispiacque affatto pur con i suoi buchi di trama e la piattezza dei personaggi e l’utilizzo degli effetti speciali alla “noi siamo americani ce l’abbiamo più grande di tutti”.
E comunque, Cumberbatch da solo si mangiava tutto il cast. E gli oggetti di scena. E lo staff tecnico. E le cineprese…

E la cosa sarebbe potuta finire lì, non fosse che Apple che anche lei aveva visto il film, lo trovò talmente tanto interessante che ritenne di doversi procurare la Serie Classica, le tre stagioni degli anni Sessanta, quelle da cui è nato il fenomeno che ha dato vita a un fandom che, visto da una certa prospettiva è pure persino un bel po’ creepy (ho visto speciali sul collezionismo Trekker che voi umani…).

Watch Star Trek, she said. It will be fun, she said.
«Sarebbe interessante» dissi io ad Apple, «Ma è un mucchio di roba, non ho voglia di mettermi a scervellarmi appresso a serie di ennemila puntate con i film e i seguiti e i seguiti dei seguiti…»
«Beh, io comincio con la serie classica, così per curiosità, poi vediamo…».

Tempo un paio di giorni e tutto precipitò così vertiginosamente che io non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che stava succedendo. L’avatar di Facebook di Apple era un disegno stilizzato di un’immagine di Spock, la parola “vulcaniano” cominciava ad apparire nei suoi stati seguiti da cuoricini, la sua pagina Tumbrl era diventata monotematica, meme su Star Trek ovunque, mi parlava di tali William Shatner e Leonard Nimoy come se fossero i suoi zii e io manco sapevo chi fossero…
«Tu devi vedere Star Trek» mi disse una sera, durante una delle nostre lunghe webcall, una sfumatura vagamente isterica nella voce.
«Ma è roba lunga e poi non saprei dove procurarmela. In giro la trovo solo in italiano e io non guardo roba in italiano doppiata oggi, figuriamoci negli anni ’60!»
«Te la procuro io. In lingua. Con i sottotitoli. Tutto. TU.DEVI.VEDERE.STAR.TREK».
A un certo punto una piglia pure paura…
Terminai gli esami della sessione estiva che avevo già tutte e tre le serie sul computer.
Inizio agosto, caldo torrido che mi blocca in casa costringendomi a una fusione simbiotica con il ventilatore, noia, balla di fieno che rotola davanti ai miei occhi. Cominciai a vedere Star Trek.
La prima puntata mi lasciò abbastanza indifferente. La seconda pure. La terza anche e anche la quarta… e poi niente, di colpo mi trovai a parlare con Apple del fatto che non sapevo come avevo fatto a vivere senza quella serie tutti quegli anni. Così, da un momento all’altro e senza una spiegazione logica: il telefilm non ha trama orizzontale, è recitato come se a tutti scappasse la pipì, è ovviamente diverso da ciò che sono abituata a guardare, ma cazzo, è Star Trek e tu ti affezioni talmente tanto a quei personaggi e a quel mondo che soffri come un cane anche se sai che tanto entro la fine della puntata tutto si risolverà per il meglio, perché è Star Trek ed è una serie dove i buoni vincono. È Kirk e Spock e Bones, è l’Enterprise e un cane infilato in un parruccone per farlo sembrare una creatura aliena, è una serie di fantascienza prodotta quando non esistevano effetti speciali né pagine di fan su internet.
È bella! Se non l’avete mai vista non potete capire, è bella!
E poi c’è il capitano Kirk. Che anche lui è bbbello, ma bello forte eh…

Ora facciamo tutti finta che io sia in grado di fare un’analisi lucida della situazione.
Giuro che ero scettica sul fatto che una cosa creata e prodotta negli anni ’60 potesse avere tanta presa su di me, spettatrice smaliziata che ha visto un po’ di tutto e che ha persino un approccio accademico rispetto a certe cose. E in generale, mi aveva sempre lasciato perplessa il fatto che Star Trek fosse una serie ancora tanto amata anche dalle nuove generazioni.
Ma come ho detto, se non la si vede non si può capire.

A dirla tutta, continuo ad essere perplessa perché, al di là della questione “roba d’epoca filtrata da uno sguardo giovane”, resta il fatto che Star Trek non è il mio genere, io non sono tipa da amare “i buoni” e Star Trek è una storia sui buoni che racconta il punto divista dei buoni, i buoni che vincono sempre, che sono sempre eroici, giusti, leali, più in gamba di tutti gli altri, con i valori migliori di tutti gli altri. I buoni estremi, insomma, e quindi un po’ poco realistici, perché si sa, il mondo non è fatto di bianco e nero, ma di una lunga gamma di sfumature di grigio senza confini netti.
Ma i personaggi della serie non sono “buoni e basta”, ed è per questo che si finisce per amarli, ed è per questo amore che si segue la serie pur senza la trama orizzontale, pur con tutte le facilonerie con cui a volte si risolvono le situazioni più pericolose o di maggior tensione, pur con tutte le cose scontate che uno capisce dopo mezza inquadratura.
E paradossalmente uno degli aspetti più affascinanti della serie sta proprio nel suo buonismo, perché era un buonismo genuino che parlava di fede in un futuro che avrebbe potuto essere migliore e che parlava di persone, tutto sommato, normali in grado di realizzarlo, persone che avremmo potuto essere noi.
Oggi non si riesce quasi più a scrivere di storie e personaggi del genere senza cadere nel mellifluo, nello stucchevole. Non si riesce tanto facilmente a raccontare di un capitano coraggioso che tiene alla sua nave e al suo equipaggio più che a se stesso senza farlo apparire surreale ed esagerato, persino indigesto a volte. Non si riesce a raccontare di un medico burbero che, qualsiasi cosa accada, riesce sempre a rimanere ancorato a quei valori umani e di rispetto per la vita che a un medico non dovrebbero mai mancare… oggi se si vuole parlare di medici fighi si parla di Dottor House, misantropo e senza fede, e per inciso io sono una fan dei telefilm di House, ma quello che sto cercando di dire è che Star Trek raccontava di personaggi straordinari che restavano “normali” pur nella loro straordinarietà.
È una cosa che io, da amante delle storie, non posso che apprezzare proprio perché è rara nelle storie in cui si incappa oggi (e che io stessa scrivo).

Altra nota di merito: io non so come sia in italiano e non voglio saperlo (sono incappata in uno spezzone una volta per sbaglio e le orecchie non hanno ancora smesso di sanguinare), ma nella versione originale che ho visto io i dialoghi e gli scambi di battute sono veramente brillanti, almeno quelli tra il trio protagonista.
In giro per la rete, tra siti di fan, articoli, video di interviste agli attori e a quelli che ci hanno lavorato, sono stati ampiamente sviscerati i temi etici e sociali che la serie intendeva toccare in contrasto con l’America della Guerra Fredda, del conflitto in Vietnam, del clima razzista nei confronti degli afroamericani, e mi sembra superfluo stare qui a sottolineare l’arguzia della cosa. Anche senza andare a toccare le questioni socio-politiche dell’epoca, si potrebbe parlare dei temi di Star Trek per centinaia di pagine, il rapporto dell’uomo con ciò che non conosce, i valori di amicizia e cameratismo e avanti così fino a quando non vi sarà venuto sonno a furia di leggere (siete ancora qui? Complimenti!)…
E nei momenti di maggior sofferenza (tra personaggi che rischiano la pelle, o che sono messi davanti a scelte impossibili, o che finisco torturati, e Kirk che fa il donnaiolo e tu vorresti ucciderlo perché lui è l’uomo della mia vita e non deve andarsene in giro a pomiciare con donne insipide a caso… ehm, ho un vago debole per il capitano Kirk, si era notato?), che davvero ci sono puntate che sembrano essere state scritte dal nonno di Steve Moffat, io mandavo messaggi colmi di feelZ ad Apple e le dicevo che la odio perché mi aveva trascinata in quella follia.

Mi rendo conto questo sproloquio da blog non aggiunge niente alla fama del telefilm, prendetelo per uno sfogo personale… avevo davvero bisogno di parlare di questa cosa!Ora devo guardare i film sequel della Serie Classica, e poi guarderò The Next Generation… e via così, to boldly go where no man has gone before!

E naturalmente io non odio Apple. She is the Spock to my Kirk!

(PS off topic: avevo detto che volevo riprendere in mano il blog. E ci ho messo un mese per aggiornarlo. Ma ce la farò…)

Pubblicato in Tv e circondario | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Essere me e non morire nel tentativo…

Pare che sia venuto il momento di riprendere in mano il blog.

È una frase che ho scritto più volte e poi cancellato, quando mi accorgevo che passava troppo tempo tra una riga e l’altra e le parole non si mettevano in fila a dovere.
Cosa è successo in questi mesi?
Bah… per lo più, cose sgradevoli, cose brutte, cose con le quali me la sono vista io da sola, con la mia disabitudine a chiedere aiuto e ad aprirmi davvero con il prossimo.
Il peggio è passato? No, non credo. Ci sono macerie dentro, a volte fingo di ignorarle, ma proprio quando sto per dimenticarmene ci inciampo dentro. E c’è un Oscuro Passeggero (citazione di dexteriana memoria che mi è assai cara) che per quanti sforzi io faccia, riesce sempre a resistere a qualsiasi tentativo di sfratto.
Ma non voglio farla tragica. I brutti periodi sono una cosa che ciclicamente capita più o meno a tutti.
Sono uscita viva (e con un’ottima media) da una sessione di esami parecchio “brutale”. E questa è già una grande soddisfazione.
Ho ultimato la trilogia di fanfiction su The Avengers… e uscirne viva è stato quasi più difficile che con gli esami.
Ah, e mi sono fatta un regalo. Un MacBook che ho battezzato Girolamo. Lo amo, è la mia gioia e il mio orgoglio e il miglior amico della mia penna.
Ho scritto. Parecchio.
Ho “ideato”. Anche di più.
Ho cominciato a usare Tumbrl.
Ho introdotto nel mio phanteon da nerd Star Trek, partendo dalla serie classica, e Socio non pensa che sia un bene visto lo stato in cui ero dopo le prime sole cinque puntate… credevate forse con l’età sarei migliorata? I presupposti per un miglioramento su questo fronte non ci sono, e io mi tengo la mia fetta di sindrome di Peter Pan.

A conti fatti, la sensazione è quella di essere una che è caduta in piedi. Salvo poi sentire nelle articolazioni il male dovuto all’impatto.

Ci si legge, Blog.
Ci si legge.

Pubblicato in Chiacchiericcio | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento